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"Perché noi donne non dobbiamo farci imbrogliare dalla scrittura inclusiva"

Scritto da Google News. Postato in Diritti delle donne

La scrittura inclusiva suscita una domanda interessante alla quale dà una risposta deleteria. Mio figlio minore ricorda che alla scuola primaria i maschi rivolsero alle femmine un sorrisetto beffardo quando tutti insieme appresero che nell’accordare l’aggettivo al nome il genere maschile prevale su quello femminile. Senza dubbio, i grammatici che nel XVII secolo stabilirono le regole della lingua francese ritennero effettivamente che il maschile fosse il genere più nobile. Questa macchia non è del tutto svanita non appena si è riconosciuto che nella grammatica il maschile non è quello del sesso? 

 

Le parole non hanno sesso

 

Per quanto mi riguarda, si tratta di un dato acquisito: il genere grammaticale non è il genere sessuale. Voglio distinguerli una volta per tutte. Le parole non hanno sesso. È quasi divertente far notare che il genere delle parole che indicano gli organi sessuali è del tutto indipendente dal genere naturale: si dice “una verga”, “un seno”, “un utero”, a riprova del fatto, se mai ce ne fosse bisogno, che il femminile può essere detto al maschile e viceversa. In francese come in latino – la lingua che gliele ha trasmesse – il genere delle parole è arbitrario. Per gli esseri umani, è influenzato dal genere naturale (“il padre”, “la madre”), ma pensiamo anche che si dica “un’armata” e “una sentinella” laddove gli uomini sono nettamente più coinvolti. Sotto accusa è “essi”, che amalgama i due sessi e fa scomparire il femminile, ma quando tra “le persone presenti” ci sono degli uomini, questi ultimi non sono meno in ombra rispetto a quanto “esse” siano in “essi”. 

In un “noi” per iscritto, i due generi si fondono, entrambi invisibili. Queste eliminazioni – questa famosa invisibilità – coinvolgono entrambi i sessi: per piacere, cerchiamo di non essere né pignoli né infantili. La parola chiave in materia di genere grammaticale è talmente arbitraria che la buona fede impedisce di accordare alle regole di genere e di concordanza un significato rapportabile alle relazioni sociali tra i sessi. 

 

La scrittura inclusiva è una forma di militanza femminista. Prestando alla grammatica un’attenzione di parte, crede di operare a vantaggio dell’uguaglianza della rappresentanza. La “querelle sull’inclusività” sembra una paranoia che si regge su esili presupposti e richiede una correzione troppo invasiva. Come si può pretendere di aggiungere dei pronomi, delle “e” e dei puntini che appesantirebbero tutto il testo, proprio in un periodo in cui l’insegnamento della lingua francese pone così tante difficoltà nel tempo ridotto in modo avventato nel quale è impartito? 

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È opinabile che un insieme di norme così irritanti sia adottato in modo naturale e permanente. Se occorre una legge, ne serve una che proibisca a eventuali militanti di tutto rispetto di imporre la scrittura inclusiva, in particolare agli studenti e agli esami. Se si parla di lingua, a fare testo è l’uso che se ne fa. 

 

E' una scrittura "amministrativa"

 

 

Molti adepti di questa scrittura stanno iniziando a obbedire (è vero, l’indirizzo su una lettera, per esempio, merita questa attenzione), ma ben presto lasciano perdere. È un fatto di ordinaria amministrazione. La seccatura sembra dunque più fatale del pericolo. La scrittura inclusiva è amministrativa, quasi giuridica, ma mai artistica. La scrittura inclusiva preclude il piacere della lingua. Come quei volontari subito stanchi, io non sarei capace (tranne che per un eventuale esercizio di scrittura OuLiPo, Ouvroir de Littérature Potentielle, a restrizione) di rispettare i dettami inclusivi in un romanzo al di là delle prime poche pagine. Più di ogni altra cosa, sarei incapace di proseguire perché l’obiettivo, che per altro ha una sua legittimità, può essere raggiunto con mezzi migliori. 

 

Sul sito motscles.net/ecriture-inclusive, si legge: “Fate progredire l’uguaglianza tra donne e uomini con il vostro modo di scrivere”. La scrittura inclusiva è una forma di militanza femminista che, prestando alla grammatica un’attenzione di parte, crede di operare a favore dell’uguaglianza della rappresentanza. Ma è proprio così? Nella sua meravigliosa Poésie du gérondif, Jean-Pierre Minaudier osserva che in bilua, la lingua di una delle isole Salomone, il femminile è il genere di default, e non per questo la società è più femminista. Quando uno scolaro francese scrive “le salviette e gli asciugamani sono lavati” prova forse una sensazione di dominio maschile? Di sicuro no, se sia le salviette sia gli asciugamani sono lavati altrettanto bene dal padre e dalla madre. Se in un giornale leggo che “gli scrittori soffrono di una sovrapproduzione editoriale”, mi sento coinvolta perché sono una scrittrice. La lettura di una stessa frase dipende dalle circostanze. La società e la lingua si trasformano insieme, con un andamento che sfugge alla loro volontà. La scrittura inclusiva ne è la prova: non parla tanto della lingua quanto di un certo femminismo, della collera delle donne e, paradossalmente, della visibilità e dell’attenzione che esse hanno acquisito. 

 

La lingua dà forma all'anima

 

Ahimè, questa scrittura militante non si interessa alla lingua per servirla o amarla: in essa vede soltanto un’arma di guerra e dimentica che, se la lingua dà forma alle nostre anime, in gran parte lo fa per mezzo di quel racconto della vita che è rappresentato dalla letteratura. La storica Yvonne Knibiehler definiva “sindrome di Beauvoir” la proibizione introiettata dagli intellettuali francesi di parlare o di scrivere di maternità. Senza ricorrere alle “e” e ai puntini in mezzo a una parola, a mettere fine all’invisibilità femminile è stata l’arte di Nancy Huston, Camille Laurens, Marie Darrieussecq, insieme alla loro libertà e al loro orgoglio. La nostra lingua, il francese, è bastata loro. Riuscite a immaginare Marguerite Duras, intenta a rielaborare di continuo le sue frasi alla ricerca di quella musicalità coinvolgente e misteriosa che ha saputo creare, che si preoccupa di una correzione inclusiva? Come Madame de Sévigné o Madame de La Fayette, come George Sand o Colette, come l’altra Marguerite (Yourcenar), anche lei ha fatto “progredire l’uguaglianza tra donne e uomini con il suo modo di scrivere”, scrivendo un’opera come “un” genio del mondo letterario.

(Alice Ferney è scrittrice. L’ultimo libro che ha pubblicato si intitola “L’Intimité” Copyright Le Figaro/Lena- Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Anna Bissanti) 

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